venerdì 13 luglio 2018

Petrichor

La pioggia fa quasi bella Philadelphia, o quanto meno la rende vivibile. I suoi alti palazzi non sono più aride montagne di cemento, accolgono l'acqua e s'impregnano del suo odore denso e fresco. A Silene Leclair sembra finalmente di respirare e lo fa dalle strette narici di lattice della maschera da anfibio che porta. Lì dentro fa un caldo dannato, ma sotto la tuta sente il tocco delle gocce d'acqua, e quel contatto rende tutto più sopportabile.

Quello per cui non si dà pace, è di aver indossato una maschera ancora una volta. Il perchè le rimbalza ovunuque tra i pensieri, ed è una domanda che trova come risposta il silenzio che è abituata a offrire, ma è incapace d'accettare per sè stessa. Lo fa ormai da qualche sera, con il risultato che di giorno s'addormenta in piedi e il lavoro ne risente. Da quando la sorte dell'ecosistema marino è diventata meno importante della feccia che gira per le strade di una città che non sente come propria?

La pioggia cade ovunque e confonde i contorni delle case, rende più vivide le luci del Porto e fa uscire l'odore della terra nascosta sotto colate di cemento. Keto, così ha chiamato quella strato di lattice che indossa sul viso, e non è lì per salvare nessuno se non -forse- Silene. Non lo fa perchè è giusto o sbagliato, secondo leggi terrestri che neppure conosce, o per un codice morale che non ha mai stilato. Non s'è mai interrogata la coscienza, ma si chiede cosa sia lì a fare, sulla terra. Ma le risposte non vengono, allora cerca qualcosa che faccia tacere le domande.

Ha sempre ricondotto tutto all'acqua, al mare dove è nata, al palazzo sommerso del padre dove è cresciuta, alle coste del mar Egeo sull'Olimpo dove ha imparato, amato e vissuto senza l'ombra di un pensiero. Ora ha solo un fiume arido e quelle gocce di pioggia che può sognare discendere da ben oltre la nuvole, da quella che ancora si ostina a chiamare casa. 

Allora si ripromette di concedere un pezzettino di sé a quella città, per non perdere sé stessa, sarà Keto o qualsiasi altra maschera e conserverà Silene per quando la chiameranno a casa.  

venerdì 6 luglio 2018

cronache del porto pt. II

Ha ancora pezzi di ragnatela attaccati alla gamba, quando Climber è sparito e lei è rimasta sola sul tetto di una delle tante baracche dei manovali del porto, relativamente lontane dai container. L'hanno capito un po' troppo tardi, di essere lì per una ragione simile e nel frattempo lei si è rimediata qualche livido e qualche graffio sulle gambe, che sulla sua pelle bianchissima risaltano anche di notte.

È coricata e ha ancora il fiatone, per aver pugnalato dieci e cento volte quelle reti, squarciandole e rendendole inutilizzabili, per aver fatto a pezzi scatoloni e strumenti vari. Anche se la maggior parte del lavoro l'ha fatto Climber, tipo sventrare il container a mani nude, senza troppa fatica. Il che le fa pensare che, dopotutto, poteva andarle peggio dei lividi sulle gambe.

Non hanno parlato molto, ma da quel poco che ha capito di quell'aracnide è che se ne va in giro di notte con una maschera a pestare la gente che fa qualcosa di sbagliato. In effetti quando l'ha trovato stava sparando in faccia a qualcuno contro un container. Per quello è scappata e lui le ha lanciato addosso quella roba da ragno, ma poi alla fine l'ha aiutata. 

Non ha sentito nulla, quando è esplosa la faccia di quel tizio. Un anno e qualcosa tra gli esseri umani non sono bastati a farle emergere un minimo di empatia. Soffoca quella voce che le ripete che per metà è umana anche lei, lo fa da sempre. Umana, umana, era il suo torto, la sua colpa. Il suo non essere abbastanza, quel corpo gracile che non riusciva a reggere le onde e quella mente che non riusciva ad ospitare la forza di muovere i mari e la terra, come i suoi fratelli, come suo padre. 

Silene sta pensando a tutto questo mentre cerca di guardare le stelle oltre quelle nuvole veloci e quella coltre di umidità e luce che intrappola Philadelphia. Soffoca ogni voce, ogni idea di giusto e sbagliato e si ripete che domani la chiameranno per tornare a casa, domani.

giovedì 5 luglio 2018

cronache del porto pt. I

Nasconde il viso con un cappuccio e una sciarpa attorno al naso, e si ripete di non essere una maschera. Non sta andando a salvare nessuno, non le importa di nessuno. 

Una settimana prima, nella sede dei Rangers ha sentito di un carico di reti da pesca non regolamentari arrivato dall’India. Sanno che cercheranno di smerciarlo a breve, eppure non fanno nulla. Non che i Rangers siano così pacifisti, le hanno fatte le loro scorribande, a sabotare pescherecci o vandalizzare la scuola di pesca subacquea di Philadelphia. Ma dicono che questi tizi non scherzino per nulla, che se ti trovano a ficcanasare nei loro affari poi nessuno ti trova più.


Silene Leclair non è coraggiosa, è incosciente e presuntuosa, pensa che quella goccia di sangue divino nelle vene la renda più forte di qualunque umano o mutante o altro. Le ci è voluto qualche giorno per individuare il carico illegale, la zona del porto e il container proveniente dall’India. Non si fa troppe domande su cosa sia giusto o sbagliato, le leggi umane non le conosce e non hanno alcun valore per lei. Come Radamante, traduce il proprio giudizio in una pena che non si sottrae dal portare a termine. Come Nemesis, recapita una punizione a chi l'ha scampata.


Eppure da quando è prigioniera di quella dimensione di mortali, non riesce più a fare nulla. La terra non trema sotto i suoi piedi, le onde non si sollevano e le nubi corrono veloci senza che lei possa radunarle, quindi s’è dovuta arrangiare con quel che ha trovato. Grimaldelli, un coltellino e una torcia. Tutto era pronto.


Poi però è arrivato un tizio con la maschera rossa e gli occhi bianchi che si chiudono e si sgranano come fossero i suoi, e se ne sta rannicchiato in punta di piedi sul bordo dei container.

La nutro a foglie di insalata e dita di studenti troppo chiassosi. Una buona idea?