venerdì 6 luglio 2018

cronache del porto pt. II

Ha ancora pezzi di ragnatela attaccati alla gamba, quando Climber è sparito e lei è rimasta sola sul tetto di una delle tante baracche dei manovali del porto, relativamente lontane dai container. L'hanno capito un po' troppo tardi, di essere lì per una ragione simile e nel frattempo lei si è rimediata qualche livido e qualche graffio sulle gambe, che sulla sua pelle bianchissima risaltano anche di notte.

È coricata e ha ancora il fiatone, per aver pugnalato dieci e cento volte quelle reti, squarciandole e rendendole inutilizzabili, per aver fatto a pezzi scatoloni e strumenti vari. Anche se la maggior parte del lavoro l'ha fatto Climber, tipo sventrare il container a mani nude, senza troppa fatica. Il che le fa pensare che, dopotutto, poteva andarle peggio dei lividi sulle gambe.

Non hanno parlato molto, ma da quel poco che ha capito di quell'aracnide è che se ne va in giro di notte con una maschera a pestare la gente che fa qualcosa di sbagliato. In effetti quando l'ha trovato stava sparando in faccia a qualcuno contro un container. Per quello è scappata e lui le ha lanciato addosso quella roba da ragno, ma poi alla fine l'ha aiutata. 

Non ha sentito nulla, quando è esplosa la faccia di quel tizio. Un anno e qualcosa tra gli esseri umani non sono bastati a farle emergere un minimo di empatia. Soffoca quella voce che le ripete che per metà è umana anche lei, lo fa da sempre. Umana, umana, era il suo torto, la sua colpa. Il suo non essere abbastanza, quel corpo gracile che non riusciva a reggere le onde e quella mente che non riusciva ad ospitare la forza di muovere i mari e la terra, come i suoi fratelli, come suo padre. 

Silene sta pensando a tutto questo mentre cerca di guardare le stelle oltre quelle nuvole veloci e quella coltre di umidità e luce che intrappola Philadelphia. Soffoca ogni voce, ogni idea di giusto e sbagliato e si ripete che domani la chiameranno per tornare a casa, domani.

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