venerdì 25 maggio 2018

Casa

Casa. Da quando ha lasciato Anydros non ha più avuto un posto da chiamare così. Non nei due anni in Francia, dove è stata ospite di svariati divani, fino a che non le hanno concesso per pietà un quadratino nella sede dei rangers, dove sistemarsi. E la sua vita dipendeva dall’inizio alla fine dall’associazione. Riunioni, conferenze, raccolte fondi, preparare cartelloni fino alle due di notte e lavare le t-shirt in quella macchina infernale della lavas… lavatriglie, {che ancora non sa pronunciare}. 

Poi Philadelphia. Chi la conosceva? Sa solo che è stato suo padre a guidare Cristoforo Colombo fino alle sue cose. Il Dio dei viaggiatori, guarderà il suo? 

La traversata è stata serena, lunga e l’oceano è la vasta meraviglia che ricorda. Lo stesso mare ovunque, ma mai uguale. È rimasta con lei ogni onda e ogni riflesso, dentro ogni respiro, e non c’è notte che non lo sogni.

Le manca, le manca, le manca disperatamente, tra i moli di cemento e quella finestra che s’affaccia sul fiume. L’acqua dolce non lascia nulla sulla pelle, scorre delicata, con il suo sapore fresco, lava come la pioggia e scompare senza lasciare traccia. Le manca il sale amaro e il suo pungere la pelle e mandare a fuoco le ferite.

Ma alla fine, ha trovato un posto tutto suo, perchè i Rangers si stavano prendendo troppo della sua vita. È un po’ piccolo, ma c’è tutto quello di cui ha bisogno. L’ha riempito di ricordi: conchiglie, rami secchi, vetri levigati e pietre bianche. Ha portato un pezzettino di oceano in questa barra e ora la riesce a chiamare casa.


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La nutro a foglie di insalata e dita di studenti troppo chiassosi. Una buona idea?